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Reshoring, Sostenibilità e guerre economiche

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Durante la pandemia una delle cose più evidenti per il mercato è stata la mancanza di offerta dovuta alla scarsità di materia prima e materia prima seconda.

Uno degli esempi più banali è stata l’impennata dei prezzi dell’elettronica (webcam in testa a tutto) facendoli diventare praticamente beni di lusso. Ma non è solo il mercato dell’elettronica ad averne risentito, la produzione di beni, dal tessile al metallurgico per passare all’automotive ha risentito pesantemente dal rallentamento (in alcuni casi diventato blocco) del trasporto delle merci dall’oriente all’occidente tanto da aver portato le aziende a rimettere in discussione le filiere di produzione.

In risposta ad un articolo di Luca Mascaro sui nuovi paradigmi industriali scrivevo:

La pandemia ha mostrato anche che la delocalizzazione estrema è un male così come la centralizzazione.

Il blocco dei prodotti dalla Cina, la mancanza di materia prima in Europa e la scarsità dell’offerta sono solo la punta dell’iceberg di una guerra alla produzione che incontreremo nei prossimi anni.

L’industria deve rigenerarsi per essere automatizzata ma al tempo stesso per riportare (eventualmente duplicando) la produzione di prodotti essenziali e di materia prima e seconda in ambito locale (consideriamo che le miniere ancora aperte in Europa sono pochissime e quasi nessuna ha terre rare).

Così come il modello consumistico sfrenato in cui abbiamo vissuto negli ultimi 20 anni deve essere scardinato e sostituito da qualcosa di nuovo.

Nel mondo della sostenibilità si parla di DfE, Design for Environment, dove alcuni punti critici sono:
– riduzione dell’utilizzo dei materiali
– riduzione di uso di materiali diversi in prodotto ed imballaggio *
– semplificare disassemblaggio e riparazione dei materiali e di conseguenza usare tecniche di LCA (life cycle assessment) per portare avanti questi obiettivi ** + ***
– la definizione del closed loop supply chain per riutilizzare gli scarti in nuovi processi produttivi

Diciamo che di cose da fare ce ne saranno a tutti i livelli :)

* un side effect potrebbe essere la morte del concetto di iper-personalizzazione dei beni fisici.
** quindi la progettazione di prodotti e processi dovranno essere fatti calcolando l’impatto sull’ambiente, il riciclo dei componenti e la vita media del prodotto (vedi ISO 14044).
*** avendo prodotti che durano di più nel tempo si dovranno rivedere anche logiche di crescita aziendale (non più per pezzo venduto) e dei relativi modelli di business (HP ad esempio sul mondo stampanti ormai si è spostata e sta spingendo il modello a subscription)

Francesco Fullone | Medium

Questi ragionamenti sono oggi ancora più evidenti dal fatto che le aziende che stanno investendo in sostenibilità (su tutte e tre le P: Planet, People and Profit) con una attenzione alla riduzione dell’impatto ambientale sono quasi obbligate a fare reshoring della produzione in luoghi dove tali scelte abbiano anche una ricaduta positiva sul fronte fiscale. Fortunatamente l’Europa sta facendo passi da gigante, ad esempio con il Green Deal 2021-2027, per attrarre nuove imprese ed abilitarle a ridurre l’impatto in termini di costi di produzione.

Ma quali saranno le aziende che faranno questo passo? Penso, prevalentemente quelle ad alto valore aggiunto. Cioè quelle che offrono ai propri clienti prodotti di qualità superiore alla media e che hanno nel proprio DNA aziendale la capacità di innovare e creare nuovi asset.

Ghost In The Shell – Stand Alone Complex 2045 intro

Purtroppo i passi per avere una totale indipendenza territoriale sono molti e nel frattempo colossi come la Cina non staranno a guardare, comprando quelle aziende che riporteranno a casa know-how e manodopera (con il relativo indotto generato). Gestendole però con un pugno di ferro come sta avvenendo per Alibaba, dove il non allineamento di Jack Ma con il regime ne ha causato la scomparsa (si spera momentanea) ed una serie di azioni verso l’azienda, considerabili come punitive, da parte del governo centrale.

La Cina in Italia, Europa ma anche Sud America ed Africa ha già fatto incetta di asset importanti (tra le industrie emergenti come quelle dei videogames dove Tencent sta comprando un po’ di tutto, a quelli tradizionali come l’automotive dove, ad esempio, ci sono trattative per la vendita di Iveco) e si muoverà sempre di più per portarseli in casa riducendo la capacità economica dei propri concorrenti in una spietatissima guerra a colpi di titoli azionari su mercati, sempre meno, liberi.

Questo non per dire che bisogna smettere di delocalizzare asset o abbandonare di punto in bianco l’offshore, ma per far emergere che la complessità dei mercati sta aumentando ancora di più con scenari prossimi a quelli di ostilità tra le nazioni.


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